Angelo Colagrossi. Il "tempo" dell' apparire

Il “tempo” dell’ apparire

Dal 20/10/2018 al 13/11/2018
Vernissage 20/10/2018
Orari: 10,30-13 | 16-19:30 festivi su appuntamento

COME UN AMORE

APPARENZA E ASSENZA

di Sissi Aslan

Angelo Colagrossi dipinge sulla carta come fosse una tela. La sua tavolozza è la stessa, la struttura della pagina è la stessa, finanche le pennellate seguono una disposizione che è organismo della sua pittura, lacerata e sfilacciata. I temi seguono il suo codice iconografico e mirano all’autonomia dell’apparente, nel senso di visibile e manifesto. È la vita che cambia e con essa la consapevolezza dell’artista e la nostra. Colagrossi ci spinge a inoltrarci in un altrove dove i pieni e i vuoti dei fogli scandiscono il tempo della conoscenza. È la vita che cambia ma l’approccio resta lo stesso. E quello del nostro artista è, ed è sempre stato, un approccio impegnato. Parlo di coscienza dell’apparire, dunque, e della sua dissoluzione. Perché questo sono i pieni e i vuoti che l’artista ci mostra, presenza e assenza di oggetti e forme che ora ci sono poi non ci sono più. Metafore dell’arte come metafore della vita e delle nostre quotidianità. Parlare per immagini dipinte è un po’ come parlare per immagini letterarie. Si racconta una storia, anche parziale, ma integra, equilibrata nelle forme e nelle cromie e senza facili effetti. Ed è certamente in queste storie che Colagrossi rappresenta la sua sincerità e la sua illusione, o meglio sarebbe parlare di disillusione.

In questi tempi foschi il pittore fa opera di sinossi ben oltre i limiti spazio-temporali. Gli oggetti, le forme, le figure che egli elenca ossessivamente sono in continua trasformazione, vale a dire che nascono, esistono, si dissolvono e rinascono. Ne vedi la fine ma già ricomincia il ciclo della vita. Nascita e fine infinite, come solo i fondi della sua pittura sanno dirci nel caos di segni e organismi, sia voluti sia inconsci, che sono l’ossatura del tutto. Gli stessi fondi sono la rappresentazione delle assenze. Le assenze in pittura, dice Colagrossi, portano alla purezza totale. Le assenze sono per lui la meta del suo percorso, l’azione del darsi alla pittura nell’idea di purezza totale che muove il bisogno di non dover raccontare più niente. Spogliarsi di tutto nell’empatia del gesto che racconta se stesso perché racconta l’immediatezza del pensiero. Pensiero maturo del tutto già detto. E quindi Colagrossi sa, con consapevolezza, di aver raccontato e descritto il suo mondo interiore e quello esterno attraverso il Molto, moltissimo anzi troppo, titolo di una serie di grandi tele di alcuni anni fa. Lì, il pittore, collocava i suoi sogni e le sue paure, le fragilità sue e quelle del mondo. Il molto, moltissimo è il suo passato, il troppo, o meglio la sua eliminazione, è il presente, il futuro chissà. Il presente è mancanza, assenza appunto, e lui sceglie di raccontare e raccontarsi attraverso il dubbio, la semplificazione e le negazioni. Colagrossi ora non dice. Lentamente ha sentito l’esigenza di mostrarsi attraverso ciò che non c’è più, visibile e sublimato nelle pennellate sempre più in assoluto monocromo. Qua e là macchie di colore dal senso compiuto della percezione e della memoria. Guardi e riguardi quella pittura, ne conosci e riconosci sin anche i percorsi. Il pittore reitera il suo pensiero in quella silhouette di donna, in quella dell’anfora, nei bottoni e nei numeri, negli innesti cromatici, nelle pennellate apparentemente casuali. Il suo pensiero è lì, sempre più convinto e convincente. Perché dopo il caos viene la rinascita. Gli oggetti che cadono e si dissolvono sono la fine, è vero, ma anche l’inizio, nascita e infanzia. È forse questo il motivo per il quale Colagrossi lavora per serie. I bottoni, i paesaggi con i PC accesi e quelli informali, le sagome affrontate o contrapposte e quelle che si intersecano, e i numeri, i fiori che si cercano, tutto viene rafforzato e caricato dal caos di quei fondi marezzati dal quale tutto nasce e poi finisce in colature della pittura. Ed è lì la sua denuncia, il suo impegno. Denuncia del tutto! Allora il dripping si fa espansione e continuità in contrapposizione alla immobilità e alla sospensione anche quando i fogli dipinti suggeriscono altro. “Da quella condizione di spaesamento – dice Colagrossi, parlando proprio del dipingere sulla carta – inizio a ritrovare me stesso“.

Nelle sagome (Belle sagome) bianche su fondo nero, affrontate o contrapposte, in assoluta assenza di descrizione se non per i loro profili che ne danno l’origine, ritroviamo il concetto di reiterazione. Prima si chiamavano Vuoti pieni o Vuoti vuoti, che la dice lunga sul percorso mentale dell’autore. Oggi più semplicemente Sagome, a volte Belle sagome. I primi erano ancora raffigurazione di desiderio e ricerca di dialogo, le seconde sono l’assenza anche del desiderio. A volte si incontrano e si intrecciano, come a dire è possibile percepire la salvezza e il recupero, uscire dalla globalizzazione inquietante che porta alla distruzione delle culture. È questo il significato delle cadute infinite di quegli oggetti e di quelle forme che si dissolvono nelle colature del basso? Credo proprio di sì. Tanto che l’assenza è purezza. Assenza di forme come in Del dolore, dell’amore, i fiori dai lunghissimi steli che si affrontano si guardano si cercano. Ad arco. Ed è il trionfo. È il trionfo della forza di nascere e di riprodursi e di amarsi. Questo è il messaggio che lancia Colagrossi. Il suo disagio verso un mondo di finzioni e trasversalità che non lasciano spazio all’individualità costruttiva. Appiattimento si chiama.

I bottoni, in Come una deriva delle solitudini, tondi bianchi e/o colorati, mantengono quel senso della rinascita e di apertura/chiusura che abbiamo trovato nell’opera descritta precedentemente, nel concetto di amore salvifico. Bouton è il germoglio/bocciolo che si spinge in fuori, che sboccia. È nome di fiore, quello giallo solare dei prati di primavera! La consapevolezza della vita. Concetto che ritroviamo, quasi inalterato nella sua metafora, nel grande flusso di acque fiorite di Offerte. Penso al Gange, dice Colagrossi, inestricabilmente legato all’esigenza di cogliere, anche nelle forme controverse della morte e della rinascita, il senso vivo della bellezza. Quelle acque danno la possibilità di ottenere il perdono dei peccati e un aiuto per raggiungere la salvezza. Trasportano sentimenti, passioni e spiritualità. Ciò che il nostro pittore sogna. Ognuno di quei fiori sparge la vita con il soffio di un vento leggero, con il flusso lento della corrente. Metafora certo, rappresentazione del magma della vita, spogliare se stesso dal definito per raccontarsi nell’inesplorato molto lontano!